Appunti su Roma

I mali di Roma sono tanti. Ne cito due: la disuguaglianza e la mancanza di identità.

Disuguaglianza.

Ma non solo di reddito, Roma è la capitale italiana della  disuguaglianza, vi convivono povertà estrema e grandi ricchezze. Ma soprattutto grandi disuguaglianze di opportunità. Disuguaglianza geografica: abitare a Tor Bella Monica o a Monti significa abitare in due città diverse tra le quali la differenza di opportunità, di istruzione, di cultura, di mobilità, di futuro, di lavoro è abissale.

L’identità.

La società romana è incattivita, divisa, in conflitto tra centro e periferie, tra ultimi e penultimi, tra utenti e lavoratori.

Roma ha tradizione di città universale, molto più che solo una capitale. Ha tradizione di città aperta, solidale e meticcia, l’immigrazione è stata il motore della sua crescita. Ha tradizione di città del buon vivere, che si ritrova intorno alla mensa. Ha tradizione di città popolare, nel senso più morale della parola. Non solo quindi città papalina e dei palazzinari.

Ridare un identità a Roma e un ruolo ai suoi ceti popolari. Capitale del benessere, della solidarietà e dell’uguaglianza. Aperta e universale. Ma collocata nel futuro come una della grandi città del pianeta. Occorre perseguire l’eccellenza nelle produzioni ecologiche , nella conoscenza, nella pubblica amministrazione.

Occorre immaginare la transizione ad un’altra città.

La sinistra romana, negli anni dell’opposizione ad Alemanno e poi durante la sindacatura Marino, ha elaborato un articolato insieme di proposte politiche su tutti i campi dell’amministrazione romana.

Cito a mo di esempio: l’Agenda della mobilità, elaborata dal Coordinamento mobilità alternativa (CALMA); l’analisi dei servizi sociali fatta dal Social Pride; l’insieme delle proposte del coordinamento Carteinregola; le 4 delibere di iniziativa popolare proposte da Deliberiamoroma, in particolare sull’uso pubblico del patrimonio immobiliare abbandonato; il progetto di ripubblicizzazione di Acea ATO2 elaborato dal Coordinamento romano acqua pubblica (CRAP); le proposte del coordinamento Rifiuti Zero; le rivendicazioni dei Movimenti per la casa; il Piano per il  lavoro della Cgil; le proposte sugli appalti pubblici di Spiazziamoli, solo per citarne alcuni.

Ci sono quindi idee, competenze, per una gestione alternativa e non ideologica della città. Perché queste divengano forze di governo della città serve una visione complessiva, una direzione di marcia, un’idea di dove dovrà essere Roma nel 2030. Non basta mettere una di fianco all’altra queste proposte, ma da esse emerge una nuova idea di città. Aperta, solidale, ecologica. Roma capitale del buen vivir?

Occorre lavorare sul concetto di “programma di transizione”. Transizione ad un’altra città. Transizione energetica e ambientale, transizione culturale e tecnologica, transizione sociale e solidale.

La gabbia del debito

Il debito accumulato a causa di una dissennata politica urbanistica e dall’aver piegato l’amministrazione e le aziende pubbliche a bancomat per le clientele è un macigno sulla strada della transizione. E’ una gabbia che va rotta.

L’amministrazione Marino ha affrontato il problema del debito tagliando servizi e salari, ma non combattendo l’evasione fiscale. Ha fatto il “primo della classe” condensando in un solo anno un piano di rientro che il Mef aveva proposto in tre anni. Ha ridotto al minimo storico gli investimenti pubblici.

Invece la ristrutturazione del debito e la contestazione di una parte di esso è indispensabile. Senza questo Roma muore.

A Roma i soldi ci sono. Ci sono grandi accumulazioni di ricchezze che devono essere chiamate a contribuire al rilancio della città. Dal Vaticano ai costruttori… Occorre una patrimoniale comunale per Roma.

Le risorse

L’esperienza di Marino dimostra ancora una volta che non si governa una città come Roma, e soprattutto non la si cambia, solo con le idee, senza una solida alleanza sociale. Al di là del giudizio di merito sul governo di Marino è evidente che il PD lo abbia potuto mandare a casa perché non aveva sostegno popolare.

In passato, con il cosiddetto Modello Roma il centro-sinistra aveva stretto un’alleanza con la rendita (ricordiamo l’invito a Caltagirone – che Bettini definì “La Fiat di Roma” – al Consiglio comunale ). La  valorizzazione immobiliare era stata individuata come il motore della crescita. Il Comune rilasciava concessioni come se stesse stampando moneta. Non c’è tempo per analizzare le conseguenze, ne cito solo due: l’arretratezza culturale e tecnologica del sistema produttivo della città e la sua deindustrializzazione, lo sprawl urbano con i crescenti costi di urbanizzazione e il tilt del sistema dei trasporti.

Alemanno ha governato facendo leva sulla paura e l’egoismo e connettendo la pancia peggiore delle periferie, all’ingordigia del sistema politico/economico che lo aveva portato al potere. Non c’è stato disegno, ma solo remunerazione.

L’amministrazione Marino è stata autistica: non parlava con nessuno.

Per cambiare Roma servono invece solide risorse sociali.

Tre risorse sono state sinora ignorate:

Il lavoro

Il lavoro a Roma è stato umiliato. Nel settore privato deindustrializzazione e precarizzazione lo hanno emarginato. Nel settore pubblico è stato considerato solo un costo da comprimere per il piano di rientro dal debito.

Occorre invece considerarlo come una delle leve fondamentali del cambiamento. Un progetto di transizione ad un’altra città è anche un piano per il lavoro. Nella trasformazione di Roma in una città moderna, che funzioni, salubre e accogliente c’è tanto lavoro da creare, puntando anche al rilancio produttivo e dell’innovazione in settori di avanguardia della produzione sostenibile.

Nel settore pubblico il lavoro è una risorsa fondamentale per la trasformazione radicale delle amministrazioni . Cambiando il modo di lavorare, anche lavorando di più, ma restituendo ai lavoratori pubblici la dignità di essere al servizio della cittadinanza, per la fornitura di servizi di qualità.I lavoratori pubblici possono e devono essere chiamati a essere protagonisti di un processo che rivolti come un guanto una pubblica amministrazione, innanzi tutto il comune.

Ciò significa innanzitutto rispettarne i diritti, farla finita con la precarizzazione e con una esternalizzazione dei servizi che punti solo alla compressione dei costi.

Anche nelle aziende pubbliche (di fatto privatizzate per servire interessi clientelari – parentopoli, appalti truccati, ecc.) occorre un cambio di impostazione che chiami i lavoratori, insieme agli utenti, ad essere attori del cambiamento.

Ad esempio non abbiamo bisogno di un’AMA come spazzino della città, ma una azienda industriale che abbia la propria mission nella strategia rifiuti zero, polo di riferimento per lo sviluppo di una filiera produttiva, anche privata, che tragga le proprie risorse dall’immenso giacimento di materie prime che sono i rifiuti. Abbiamo bisogno di un’Acea che non sia solo erogatore di energia, ma strumento per la transizione energetica, stimolando lo sviluppo di una filiera produttiva sul risparmio energetico, a partire dalla trasformazione del patrimonio comunale.

 

La conoscenza

A Roma c’è una enorme concentrazione di conoscenza, dai centri di ricerca a 6 Università, a luoghi di produzione culturale, ecc. Ma questa conoscenza non è connessa con la città. E’ come se fosse in un altro mondo.

Da Roma si mandano in orbita satelliti, mentre l’informatizzazione della pubblica amministrazione è a livelli bassissimi. C’è la maggiore industria cinematografia e produzione musicale del paese, mentre le periferie sopravvivono nello squallore. Occorre connettere questo mondo con i problemi della città, con la vita quotidiana per fare una salto culturale e tecnologico.

 

La cittadinanza attiva

A Roma ci sono migliaia di cittadini attivi che si prendono a cuore il bene della città, dai gruppi che ripuliscono i parchi, ai comitati che si oppongono al cemento, dalle palestre popolari, ai centri sociali, dai genitori degli asili, ai gruppi contro la violenza sulle donne, e tanti altri.

Questa cittadinanza attiva è stata vissuta come un fastidio per le rivendicazioni che portava, o, al massimo, come un problema da tacitare dando qualche contentino o introducendola nelle filiere clientelari. E’ questa una risorsa fondamentale. Roma non si cambia senza la partecipazione popolare. Occorre rilanciare la partecipazione portando questi gruppi al governo della città, ricercando al loro interno la possibilità di un necessario ricambio della classe dirigente.

 

L’intuizione di don Sardelli: Ricerca del Cresme secondo cui ci sono a Roma 198 microcittà, aree territoriali in cui la gente si riconosce e che potrebbero essere individuate come l’unità di base del rilancio di un processo partecipativo e di ricostruzione di comunità.

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