Dei “Due pesi e due misure”

Mentre le immagini della tragedia della popolazione di Aleppo, tra il fuoco jiadista e sirorusso, campeggiano da giorni sulle pagine di tutti i giornali e il Consiglio di Sicurezza viene convocato, in una guerra dimenticata, in un dimenticato paese, la popolazione civile, le scuole, gli ospedali, i mercati vengono quotidianamente bombardati dall’esercito di un paese a guida fondamentalista, con l’appoggio dell’intelligence statunitense e ordigni Made in Italy. Senza che nessuno se ne curi.

E’ la politica dei “due pesi e due misure” a cui il colonialismo nostrano ci ha abituato da sempre, tanto che non ci facciamo neppure quasi più caso. Ci sono dittatori buoni, come fu Saddam Hussein fino al 1991, quando combatteva Komeini, e Hafiz al-Assad dopo quella data, quando combatteva Saddam e dittatori cattivi, come Saddam dopo il 1991 e Bashir al-Assad dopo il 2011. Ci sono rivolte di popolo buone, come quella tunisina e rivolte ignorate, come quella del Barhein. Ci sono repressioni da ignorare, come quella di Gezi Park, e repressioni cattive.

Due pesi e due misure che portarono il governo degli Stati Uniti ad appoggiare Pol Pot in Cambogia mentre combatteva Kim Il-sung in Corea del Nord, ad appoggiare la secessione del Kossovo e a contrastare quella della Crimea. Non c’è bisogno di continuare, gli esempi sono innumerevoli.

Due pesi e due misure che abbiamo denunciato per anni, per decenni, ricavandone l’insegnamento che le potenze militari agiscono sempre e solo per i propri interessi, o meglio per gli interessi delle proprie classi dominanti e del proprio apparato economico, e che le cause umanitarie, democratiche, antiterroristiche, dei diritti umani, che vengono sventolate di volta in volta a giustificazione della guerra sono sempre e solo tali: coperture ideologiche.

Ma oggi assistiamo purtroppo anche al rovesciamento di questa che sembrava essere una acquisizione, direi quasi teorica, dei movimenti contro la guerra.

Faccio alcune domande agli amici e ai compagni con cui ho condiviso tante battaglie per la pace e che ora inneggiano alla presa di Aleppo da parte del “governo legittimo”: perché se un capo di stato incarcera i giornalisti, mette fuori legge le opposizioni, reprime con l’esercito rivolte di popolo in Turchia è un dittatore, ma se fa le stesse cose in Siria è un “governo legittimo”? Perché i bombardamenti sulla popolazione civile sono crimini a Falluja e non lo sono ad Aleppo?

Perché se un paese fa una guerra per assicurare un corridoio energetico alle proprie multinazionali petrolifere in Afganistan è imperialista, ma se lo fa in Siria è antimperialista? Perché se un paese istalla le propri basi militari nelle Flippine è imperialista, ma se lo fa in Siria no?

Perché se una popolazione si rivolta contro un governo amico dell’occidente è rivoluzione, ma se lo fa contro un governo alleato con la Russia no?

Mi si dirà che sono domande un po’ naif, che la situazione è più complessa, che c’è chi ha cominciato e chi ha reagito, ecc. Conosco benissimo la situazione e la sua complessità, so fare le distinzioni, capire i processi e dare una lettura geopolitica della situazione, ma in questa complessità c’è, mi sembra, un semplice verità che per i pacifisti dovrebbe essere lapalissiana.

E’ in corso una guerra cruenta per il potere tra potenze regionali e internazionali, ognuna per i suoi interessi, o meglio per gli interessi delle proprie multinazionali, e non c’è nessun motivo per cui si debba parteggiare per l’una o per l’altra. Come non esistono guerre giuste non divrebbe esistere il pacifismo “due pesi e due misure”.

pubblicato su Comune-Info il 16 dicembre 2016

2 thoughts on “Dei “Due pesi e due misure”

  1. Caro Fabio, pur sostanzialmente d’accordo con le tue argomentazioni, mi rimangono molti dubbi che, proprio per la difficoltà di accedere a informazioni affidabili e per la tendenza a schierarsi in modo campista anziché nel merito della questione, è sempre difficile chiarire.
    1) “un imperialismo vale l’altro”: è sempre vero? non sono un’esperta, ma da quel poco che posso capire, mi pare che gli USA da 25 anni perseguano in medio e vicino oriente una strategia di caos totale, indifferenti alle conseguenze, pur di mettervi piede e inoltre si puntellano e puntellano come alleati le potenze più tossiche dell’area, quelle del golfo; La Russia, ovviamente per l’obiettivo di perseguire interessi propri, punterebbe piuttosto a mantenere un certo equilibrio nell’area. Se questa lettura ha qualche fondamento (magari no, tu certo ne sai di più) forse le ingerenze imperialistiche USA sono più devastanti delle ingerenze imperialistiche russe – beninteso: in questa fase storica e in quest’area (indubbiamente in Afghanistan l’ingerenza URSS è stata devastante);
    2) “Assad è un dittatore, torturatore ecc”: fin qui è fuori di dubbio, ma il prezzo di distruggere il paese è congruo con l’obiettivo di liberarsene? la popolazione siriana che si è sollevata nel 2011 voleva questo? e soprattutto: il modo attraverso cui ci se ne libera non è neutro, ma pone le condizioni per poi costruire un assetto democratico oppure sostituirlo con una altro regime, magari alleato degli USA anziché della Russia: queste condizioni si stanno ponendo? questo io veramente non lo so, non è una domanda retorica. Ma dubito che la popolazione siriana si sia sollevata solo per cambiare padrone
    3) “i ribelli siriani”: da persona che cerca di informarsi stando in Italia, questi sono veramente un oggetto misterioso! cambiano identità a seconda dell’orientamento di chi ne scrive: milizie jihadiste reclutate all’estero, finanziate dall’Arabia Saudita e armate dagli USA, pronti a prendere in ostaggio la popolazione per trasformare il paese in un altro incubo islamofascista, o popolo siriano in armi e milizie curde che combattono per la democrazia e la libertà? o un po’ tutte e due le cose?
    E’ che senza capire queste cose è difficile anche prendere posizione, a parte l’ovvia adesione agli appelli perché cessino i massacri
    Se mi vorrai rispondere mi farai molto piacere, ma ti prego di riconoscere che non parto da una posizione “campista”.
    Grazie dei contibuti sempre interessanti!

  2. Intanto grazie per il commento. In tempi di disinformazione e di tifoseria campista manca la riflessione e di solito si ricorre all’invettiva.
    Cominciamo dal punto 1.
    Io penso che occorre prendere atto che non solo il mondo bipolare non c’è più, ma anche che il “secolo americano” sognato dai neocons non ci sarà e che siamo entrati in una transizione nella distribuzione del potere in cui il tratto dominante sarà il conflitto tra le grandi potenze e tra le potenze regionali di riferimento. Confronto che come sappiamo non è solo militare, ma anche. E si esprime militarmente in modo quasi diretto già in Ucraina, Siria, Yemen, ecc. La potenza maggiore agisce anche preventivamente per impedire la ascesa delle altre, le altre premono per avere spazio, in modo più assertivo la Russia (anche perché sotto tiro) e più “responsabile” la Cina. Vedi però la militarizzazione del mar cinese del sud. Ciò è favorito dal relativo indebolimento economico degli Stati Uniti e spinto dalla necessità delle altre economie capitaliste e delle loro multinazionali di espandersi imperialisticamente.
    Credo che la situazione abbia analogia – con tutte le differenze – con l’inizio del secolo scorso, quando la crescita delle economie tedesca (dominante in terra), francese e inglese (questa dominante in mare) e russa e le connesse politiche imperialiste portarono alla prima guerra mondiale.
    E’ meglio stare sotto l’imperialismo russo o quello americano? Dovremmo chiederlo ai siriani che probabilmente risponderebbero a seconda del giudizio che danno di Assad.
    La storia non si fa con i se, ma se l’occidente avesse sostenuto la rivoluzione del 2011, invece di armare i jadisti forse saremmo in un altro contesto, ma anche se Putin non avesse deciso di sostenere il fascismo in Siria.
    Non penso che il caos sia l’obiettivo degli Usa, ma che sia la conseguenza degli errori che hanno fatto perchè pensano di poter ancora dominare da soli.
    Non credo che si possa scegliere e che la via da perseguire è quella della neutralità attiva soprattutto se come temo siamo solo all’inizio.

    2. Certo la popolazione siriana non si è sollevata per cambiare padrone, anche se questo può essere la conseguenza – anche la resistenza italiana è poi sfociata nell’entrata nell’alveo occidentale. La prospettiva di uno sbocco democratico è stata vanificata secondo me dal combinato disposto dell’intervento saudita/usa nel trasformare la rivolta in guerra civile e della difesa di Assad da parte Iran/russa.
    Oltre al fatto che Assad invece di togliersi dai coglioni ha bombardato le manifestazioni pacifiche. Occorre però ricordare che nell’insieme delle rivolte del 2011 la componente islamica è stata una delle componenti della lotta alle dittature laiche (sai benissimo che islamico non significa jiadista) e questa è stata presente – come in Tunisia e in Egitto – anche in Siria. Il processo di definizione dell’assetto di queste aree credo sarà ancora lungo. Difficile dire oggi, in caso di successo della rivolta, quale componente avrebbe prevalso. Io tendo a pensare che avesse ragione quella componente della rivolta siriana (che per la verità non so quanto sia stata ampia) che si è opposta al passaggio alla lotta armata e che quando sono scesi in campo i jiadisti ha detto che quella non era più la loro rivoluzione.

    3. I ribelli siriani, non metterei le virgolette perchè non ha senso, sono tutte e due le cose e tutto quello che ci sta in mezzo, o fuori, quella parte della società civile che in un campo e nell’altro continua a tentare di alleviare le sofferenze e di promuovere un futuro. Ma di questi nessuno parla. Non metterei tra i ribelli siriani tutte le milizie sciite, sunnite, russe, iraniane, libanesi, statunitensi ecc. che infestano il paese.

    Scusa la sommarietà, ma sono di corsa.

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