Referendum ATAC. Fuga dalla politica

Nelle proposte che vanno per la maggiore sul trasporto pubblico romano il grande assente è la politica. Manca la politica quando si propone, come fa il Movimento 5 stelle, di affrontare il risanamento dell’Atac attraverso il concordato preventivo. Manca la politica quando si propone, come fanno i radicali insieme al PD, la privatizzazione del servizio.

In ambedue le proposte il sistema della mobilità romana viene considerato una invariante ignorando che la crisi dell’Atac è la conseguenza e non la causa del fallimento delle politiche sulla mobilità. E che quindi il suo risanamento può darsi solo come parte del cambiamento di queste politiche. Concentrarsi, come fanno i 5 stelle e i radicali, solo sull’efficienza dell’Atac significa scambiare la parte per il tutto, le conseguenze con le cause. E destinarsi al fallimento.

Il tutto è il sistema territoriale che consegue a scellerate scelte urbanistiche che hanno permesso la dispersione della popolazione sull’intera provincia (e financo della regione), alla rincorsa della rendita fondiaria, senza nessuna programmazione e senza connessione con il sistema di trasporto di massa, costringendo centinaia di migliaia di persone a prendere l’automobile.

Il tutto è una politica della mobilità che ha considerato, a livello nazionale e locale, il trasporto collettivo come residuale rispetto a quello individuale – e non invece asse portante del sistema. E che ha trasformato la mobilità locale da diritto a merce, in vista della sua privatizzazione.

E’ così che il Fondo Nazionale Trasporti è stato sistematicamente ridotto e il finanziamento del TPL romano è stato sistematicamente sottodimensionato. E’ così che sulle direttrici di collegamento con la provincia si sono rafforzate le strade, ma non le ferrovie. E’ così che su 8.000 km di rete stradale vi sono solo 100 km di corsie preferenziali e che la velocità commerciale dei mezzi pubblici, ma anche dei veicoli privati, è scandalosamente bassa. E’ così che Roma ha raggiunto il tasso di motorizzazione più altro d’Europa, quasi il 90% a fronte del 43% di Parigi, oltre 2 milioni di autoveicoli che solo per parcheggiare occupano oltre il 20% di tutta la superficie stradale. E’ così che e che ogni mattina i 400.000 veicoli in ingresso dei pendolari “forzati dell’automobile” saturano completamente i 400 km di strade portanti. E’ così che il tasso di incidentalità, con 22.000 feriti e oltre 200 morti l’anno, è spaventoso e genera costi per il sistema sanitario regionale, vicino ai 50 milioni l’anno.

Questo insieme di scelte politiche hanno portato l’Atac, sottofinanziata, senza linee veloci, costretta a competere per l’utilizzo della superficie stradale e che dovrebbe portare il servizio in periferie disorganiche, al collasso.

Non è che non sia noto. Sta scritto su tutti i piani dei trasporti, diversamente denominati, approvati nei decenni: senza una decisa inversione di questa politica non c’è soluzione per la mobilità dei romani. Ma nessuna giunta ha mai voluto agire di conseguenza.

Per salvare e rilanciare l’Atac occorre innanzitutto cambiare politica della mobilità. Servono investimenti sulla rete su ferro e sulle nuove tecnologie, serve fermare l’espansione urbana, occorre aumentare la velocità commerciale, serve una politica tariffaria che premi l’uso del trasporto collettivo. M5S, radicali e PD, invece, propongono, con politiche diverse, ma convergenti, solo di scaricare il costo del fallimento sui lavoratori agendo, con il concordato o con la privatizzazione, sull’unica variabile che non risolve la crisi: le retribuzioni e le condizioni di lavoro dei dipendenti. La conseguenza non può che essere l’ulteriore marginalizzazione del servizio pubblico e l’aggravamento della congestione da traffico.

La domanda che dovrebbe essere posta ai romani nel referendum è se questo sistema della mobilità sia sostenibile o se non si debba girare pagina. La campagna referendaria può essere l’occasione per porre questa domanda spostando l’attenzione dalle conseguenze – la crisi dell’Atac – alle cause: il fallimento delle politiche della mobilità di mezzo secolo, dalle soluzioni “tecniche” alle scelte politiche.

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