La Migrazione per Cause Climatiche in Etiopia

Introduzione

Nonostante la definizione di “rifugiato ambientale” non sia accettata nel diritto internazionale[1] e che le persone costrette a muoversi a causa di eventi climatici estremi conseguenti alla crisi climatica non siano tutt’ora passibili di assistenza internazionale, la migrazione per cause climatiche è ormai un fatto evidente ed acclarato ed è diventata un problema globale sempre più rilevante, con milioni di persone costrette a lasciare le proprie terre d’origine a causa dei cambiamenti del clima.

L’africa è il continente che maggiormente sosterrà le conseguenze negative del cambiamento climatico e in Africa l’Etiopia è tra i paesi con maggiore vulnerabilità.

Definizione

La definizione del fenomeno è da tempo un terreno di discussione con implicazioni politiche rilevanti. L’UNHCR ha recentemente chiarito che dal punto di vista legale[2], sulla base del diritto internazionale vigente, le “persone sfollate nel contesto di disastri e cambiamenti climatici”, che è la definizione che la agenzia per i rifugiati propone, non sono assimilabili ai rifugiati a causa della mancanza requisito della “persecuzione attendibile” che è il criterio stabilito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e che quindi non sono passibili in quanto tali di assistenza internazionale, se non sotto la specie di altri problemi concorrenti.  L’IOM ha invece, proprio in occasione del recente COP27 de Il Cairo, insistito affinché sia dato pieno riconoscimento alla condizione di migrante per cause ambientale con la conseguente emersione di un diritto alla assistenza da parte della comunità internazionale. Per la prima volta al Cairo nella risoluzione finale viene riconosciuto che il cambiamento climatico può essere causa di migrazione. In Italia una sentenza pilota (n.5022 del 9 marzo 2021) della Cassazione, sfruttando una ambigua sentenza della commissione dell’Onu per i diritti umani, ha affermato per la prima volta la possibilità di includere il disastro ambientale, sia pure a determinate condizioni, tra le cause assimilabili ai conflitti armati nel riconoscimento del diritto alla protezione.[3]

La discussione non sarà esaurita a breve a causa del fatto che il riconoscimento pieno del cambiamento climatico come causa diretta di fenomeni migratori implica una responsabilità internazionale ed in particolare, come autori africani affermano, dei paesi di prima industrializzazione.

In questo breve lavoro si adotterà la definizione di rifugiato climatico a significare contemporaneamente l’origine del movimento di popolazione e il sorgere di diritti analoghi a quelli dei rifugiati.

Dimensioni

Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre[4] solo nel 2021 i movimenti di persone causati di eventi climatici estremi sono stati oltre 23 milioni e quasi 6 milioni di persone si sono dovute spostare permanentemente.  Da oggi al 2050 in assenza di misure di mitigazione della crisi climatica gli sfollati[5] potrebbero arrivare a 200 milioni[6], di cui ben 86 milioni in Africa subsahariana, il 40% del totale in un territorio che ospita solo il 17% della popolazione mondiale.

Nel più favorevole degli scenari elaborati dallo studio della Banca Mondiale gli sfollati subsahariani arriverebbero comunque a quasi 30 milioni.

Ragioni africane di vulnerabilità

Questo abnorme tributo africano alla crisi risiede in parte nella variabilità climatica, che va dal deserto alle regioni tropicali, che sta aumentando portando a estremi climatici più frequenti, come siccità prolungate o piogge torrenziali ed in parte alle caratteristiche della struttura economica con una forte dipendenza dalle risorse naturali. Il cambiamento climatico influisce sulla produttività agricola e crea una maggiore insicurezza alimentare e minaccia la stabilità economica delle comunità rurali.

Nella misura in cui la colonizzazione europea del continente ha modella to la sua struttura economica la vulnerabilità dell’Africa al cambiamento climatico può essere considerato parte del lascito coloniale. Estrattivismo e monocoltura, rottura delle strutture sociali tradizionali senza investimento in formazione di classe dirigente, generazione di conflitti etnici sono fattori che hanno reso vulnerabile, anche al cambiamento climatico il continente ed in particolare la regione subsahariana.

Giustizia climatica

L’Africa subsahariana ha contribuito all’emissione cumulativa di gas serra solo per il 2% del totale del mondo dall’inizio della industrializzazione (dal 1850), una quota molto limitata rispetto al contributo globale dei paesi occidentali (39%).  Mentre un abitate dell’Africa subsahariana sarebbe attualmente responsabile della emissione di un ventesimo di quanto emesso da un cittadino statunitense[7].

Questo squilibrio e le dimensioni crescenti assunte dal fenomeno imporranno una manovra di riequilibrio tra paesi ex coloniali ed ex colonie.

Contesto Geografico e Ambientale dell’Etiopia

L’Etiopia è uno degli stati più popolosi dell’Africa ed a causa di fattori geografici, economici e storici è particolarmente vulnerabile alle conseguenze dei cambiamenti climatici e ha sperimentato un notevole aumento della migrazione interna negli ultimi anni.

L’Etiopia è un paese situato nella regione del Corno d’Africa e ha una popolazione di oltre 100 milioni di persone. Il paese è caratterizzato da una grande varietà di ecosistemi, tra cui montagne, pianure, deserti e laghi. Tuttavia, è anche uno dei paesi più colpiti dai cambiamenti climatici, con conseguenze significative per la sua popolazione.

L’orografia dell’Etiopia è caratterizzata da un altipiano centrale che si estende per circa 1.500 chilometri da nord a sud, con un’altitudine media di oltre 2.000 metri sul livello del mare ed è delimitato da una serie di catene montuose. Nel nord si trova la Rift Valley dell’Est africano, una vasta faglia tettonica che si estende per oltre 6.000 chilometri e la Pianura del Danakil. Le basse terre come la Rift Valley e la Pianura del Danakil sono caratterizzate da un clima caldo e secco con temperature che possono superare i 40 gradi.  Le precipitazioni in Etiopia variano notevolmente. La maggior parte delle precipitazioni si verifica durante la stagione delle piogge, che generalmente si estende da giugno a settembre. Queste piogge sono cruciali per l’agricoltura e l’approvvigionamento idrico.

L’agricoltura assorbe tutt’ora la maggior parte della popolazione attiva. La maggior parte dell’agricoltura è di sussistenza, con i piccoli agricoltori che coltivano principalmente per soddisfare le proprie esigenze alimentari e quelle delle loro famiglie. Anche il caffè, che è una delle principali esportazioni del paese, coinvolge principalmente piccoli agricoltori in piantagioni familiari. A causa del limitato surplus prodotto da questo tipo di agricoltura le opere di antropizzazione e regolazione delle acque del territorio agrario sono limitate, fattore che si aggiunge causando dipendenza dalle precipitazioni e insieme alle caratteristiche geologico-orografiche una forte vulnerabilità al cambiamento climatico che si manifesta con intensità crescente.

È quindi intorno al ciclo dell’acqua e alla crescente irregolarità rispetto alla tradizione che si manifestano le maggiori criticità. In uno scherzo del destino inondazioni e siccità sono le maggiori conseguenze della trasformazione del clima.

Gli eventi climatici avversi in Etiopia

Il contributo al cambiamento climatico della repubblica democratica federale di Etiopia è molto limitato, stimato attualmente allo 0.04%, ma il paese è altamente vulnerabile al cambiamento climatico.

La temperatura media nazionale è aumentata dello 1 per cento negli ultimi 50 anni la piovosità è aumentata del 25% e in alcune zone fino al 50%, mentre nelle aree meridionali si è assistito ad una riduzione delle precipitazioni intorno al 20%

L’Etiopia ha una significativa stagionalità delle precipitazioni su tre periodi: giugno-settembre (Kerem), ottobre-gennaio (Bega) e febbraio-maggio (Belgio). Kerem, che è la principale stagione delle piogge per la maggior parte dell’Etiopia, spiega per il 50-80 percento delle precipitazioni annuali totali. La mancanza della Kerem, da tre anni assente a causa del fenomeno del Nina è motivo della siccità più grave nel sud del paese.

La concentrazione delle precipitazioni in un arco inferiore di mesi e l’intensificazione dei fenomeni porta invece alle frequenti esondazioni dei fiumi nella zona tropicale.

Il CRGE stima, inoltre, un possibile aumento della temperatura al 2100 fino al 5# centigradi nello scenario peggiore e fi 2 gradi nello scenario intermedio.

Nel corso degli ultimi 10 anni[8]  sono stati registrati 66 eventi climatici estremi che hanno causato lo sfollamento forzato di 3,5 milioni di persone, con un evidente incremento nel tempo della frequenza e della gravità degli eventi. Solo nel 2022, sono stati registrati 4 eventi disastrosi cui è stato attribuito il movimento oltre 800.000 persone il numero di sfollati maggiore di sempre[9].

Per quanto riguarda le cause, sempre nel decennio sono stati segnalati 43 eventi di inondazione con 2,2 milioni di sfollati e 6 situazioni siccitose che hanno causato 1,4 milioni di sfollati. Altri eventi con minore impatto in termini di numerosità sono state frane, incendi e tempeste.

Ad esempio, nel 2022 a causa della pioggia ininterrotta dal mese di agosto al mese di ottobre sulla zona di Gambella (nord del paese) nord (si sono verificate continue gravi esondazioni dei fiumi Akobo, Alworo, Baro e Gilo a dei loro affluenti costringendo allo sfollamento 37.000 famiglie e colpendone altre 15.000 e provocando la chiusura di 125 scuole e di 77 centri sanitari, oltre alla diffusione di malattie legate all’acqua. Il soccorso alle popolazioni ha impegnato il governo e l’ufficio degli affari umanitari delle Nazioni Unite.[10] Nello stesso anno sono state allagate parti nord-occidentali, occidentali e centrali del Paese a seguito delle forti piogge che sono continuate da giugno ad agosto.

Contemporaneamente nella regione di Opia siamo alla terza stagione successivo con precipitazioni al di sotto della media e la peggiore siccità degli ultimi 40 anni con una grave situazione umanitaria per circa 3,5 milioni di persone, più della metà della popolazione locale.[11] La siccità prolungata viene addebitata all’anomalo perdurare del fenomeno atmosferico della Niña.  Gravi conseguenze umanitarie. Si è registrato un forte aumento dei casi di malnutrizione acuta grave, la diffusione di una epidemia di morbillo. Inoltre, si è assistito ad un aumento generalizzato dei prezzi alimentari che sono anche triplicati ed un calo del reddito delle famiglie a causa delle cattive condizioni del bestiame. Nei primi quattro mesi del 2022 sono sfollati 344.000 persone e sono state chiuse 2.000 scuole.[12]

Interazione con altri fenomeni migratori

Gli spostamenti di popolazione direttamente legati a eventi climatici estremi o catastrofici si intrecciano con altri movimenti di popolazione originati dalla precaria situazione economica della popolazione e dai conflitti interni. 

L’Etiopia ha affrontato diversi conflitti internazionali ed interni nel corso degli anni, come il conflitto con l’Eritrea, quello nel Tigray e il conflitto tra gruppi etnici. In particolare, l’aggravarsi delle condizioni climatiche negli ultimi anni si è intrecciato con il conflitto tra il governo centrale e il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, scoppiato nel 2020 e terminato con un trattato di pace nel novembre 22 e che avrebbe causato altre xxx di sfollati e rifugiati. Nel Tigray proseguono le tensioni[13] e permane una situazione di crisi umanitaria. 

La scarsità di acqua e l’impoverimento dell’agricoltura sono inoltre causa di conflitti interni[14] per l’accesso alle risorse e alla terra che si intrecciano con il permanere di rivalità etniche, lascito della colonizzazione italiana.  È il caso, ad esempio, del conflitto tra gruppi di agricoltori guji e gedeo nel Guji occidentale e in Oromia. Scontri comunitari di natura analoga secondo l’ISPI hanno interessato, nello stesso anno, dieci diverse aree del paese, inclusa la regione somala.

Un esempio è quello della popolazione nella Turkana che in un solo mese nel corso del 2011 ha subito 27 attacchi da una vicina comunità con 13 vittime e 17 feriti. Questi attacchi erano dovuti a conflitti basati sulle risorse che includevano acqua e pascoli per il bestiame resi più rari a causa del cambiamento climatico.90

Il fenomeno di inurbamento e di trasferimento dalle campagne alle città cerca di migliori opportunità economiche come conseguenza (oltre che delle condizioni climatiche) dei processi di trasformazione in agricoltura, in particolare dell’introduzione di forme di agricoltura capitalistica in luogo dell’agricoltura di sussistenza e a causa della fluttuazione dei prezzi sul mercato internazionale del caffè. Le città come Addis Abeba, la capitale, e altre città regionali attraggono migranti in cerca di lavoro, istruzione e servizi.

Infine, l’Etiopia è uno dei principali paesi ospitanti per i rifugiati in Africa. Il paese accoglie quasi 900.000[15] rifugiati provenienti principalmente da paesi vicini come il Sudan del Sud, l’Eritrea e la Somalia. In particolare, le zone di insediamento dei rifugiati sud sudanesi (382000 rifugiati nella Gambella) e dei somali (circa 250000 rifugiati nella regione del Somali) coincidono o sono limitrofe alle zone delle più recenti piaghe climatiche, rispettivamente le inondazioni e la siccità.

Il sommarsi di processi migratori di origini diverse, anche se alle volte intrecciate aggrava ala condizione complessiva riduce le possibilità di assistenza sia da parte del governo etiope sia da parte delle agenzie internazionali che si trovano ad affrontare un fenomeno multi-origine e sfaccettato.[16]

La interazione tra guerre, povertà e cambiamento climatico può creare un circolo vizioso. I conflitti possono causare distruzione delle infrastrutture, interruzioni nell’agricoltura e negare l’accesso a risorse fondamentali. Questo indebolisce la capacità delle comunità di affrontare i cambiamenti climatici e può portare a un aumento della povertà e dell’insicurezza alimentare. Allo stesso tempo, il cambiamento climatico può aggravare i conflitti, ad esempio a causa della scarsità di risorse naturali come l’acqua e le terre coltivabili, che possono alimentare tensioni e competizioni tra gruppi.

Caratteristiche dell’impatto del riscaldamento globale sull’Etiopia

Uno dei principali fattori che contribuiscono alle gravi conseguenze della crisi climatica in Etiopia è il cambiamento dei modelli di precipitazione. Le precipitazioni stagionali sono diventate sempre più imprevedibili e irregolari, con una diminuzione delle piogge durante la stagione delle piogge e un aumento della frequenza di eventi meteorologici estremi come siccità e inondazioni. Questi cambiamenti influiscono negativamente sull’agricoltura, che è la principale fonte di sostentamento per gran parte della popolazione etiope.

L’aumento delle temperature è un’altra causa delle gravi conseguenze della crisi climatica in Etiopia. L’Etiopia ha registrato un aumento costante della temperatura media negli ultimi decenni, con conseguenze dirette sulla salute umana, l’agricoltura e l’ecosistema. Le alte temperature possono causare siccità, ridurre la disponibilità di acqua dolce e aumentare il rischio di incendi boschivi, compromettendo la sicurezza alimentare e idrica delle comunità.

La siccità è una delle conseguenze più gravi della crisi climatica in Etiopia. Le siccità prolungate hanno un impatto devastante sull’agricoltura, con la perdita di raccolti e il deterioramento delle condizioni di vita delle comunità rurali. Inoltre, la scarsità di risorse idriche influisce sull’accesso all’acqua potabile, aumentando il rischio di malattie legate all’acqua e limitando le opportunità di sviluppo socioeconomico.

La povertà e la mancanza di infrastrutture adeguate aggravano le conseguenze della crisi climatica in Etiopia. Le comunità povere hanno meno risorse e capacità per affrontare gli impatti della crisi climatica, rendendoli più vulnerabili alle siccità, alle inondazioni e alla scarsità di risorse. La mancanza di infrastrutture, come sistemi di irrigazione e di gestione delle risorse idriche, limita la resilienza delle comunità e ostacola lo sviluppo sostenibile.

Le politiche dell’Etiopia a fronte del cambiamento climatico

L’Etiopia è uno stato che, con la sola interruzione dell’invasione italiana, vanta la continuativa indipendenza dal 400 d.c., è membro fondatore delle Nazioni Unite ed attivo partecipante alla UNFCCC United Nations Framework Convention on Climate Change, ha ratificato il protocollo di Kyoto nel l2005 e il Paris Agreement nel 2017.

La strategia nazionale si basa sul piano ”Climate Resilient Green Economy (CRGE)”[17] e il “National Adaptation Plan”[18].

Quest’ultimo, presentato dall’Etiopia nel 2019, prevede la implementazione di 18 “opzioni di adattamento” basate su 5 priorità strategiche: 1. Integrare l’adattamento ai cambiamenti climatici nelle politiche, nei piani e nelle strategie di sviluppo 2. Costruire capacità a lungo termine delle strutture istituzionali coinvolte nel NAP-ETH 3. Implementare meccanismi di finanziamento efficaci e sostenibili 4. Promuovere la ricerca e lo sviluppo dell’adattamento nell’area dell’adattamento ai cambiamenti climatici 5. Migliorare il sistema di gestione delle conoscenze per NAP-ETH.

Significativo che nella analisi dei rischi e delle vulnerabilità delle 27 regioni la migrazione è indicata come uno dei “coping mechanism” attualmente in uso in ben 9 regioni.  Tra le 18 “opzioni di adattamento” una parte importante è dedicata alla cura del suolo, del regime delle acque, dell’agricoltura, delle foreste e all’accesso al cibo e all’acqua potabile. L’aumento del processo di inurbamento della popolazione è descritto come una delle conseguenze negative del cambiamento climatico. Il costo del piano di adattamento è valutato in sei miliardi di dollari l’anno nei prossimi 15 anni per i quali governo dell’Etiopia richiede la parziale assistenza internazionale.

Il CRGE presentato nel 2020 come aggiornamento del precedente piano assume l’obiettivo della riduzione delle emissioni di gas climalterante del 32% entro il 2050 rispetto alle proiezioni di crescita in assenza di interventi (aumentato dal 36% del precedente pipano) con obiettivi di mitigazione intermedi al 2025 e al 2030. Il raggiungimento di tale ambizioso obiettivo è dichiarato incondizionato e quindi sostenuto con fondi interni fino al 20% mentre per l’80% è definito condizionato al sostegno da parte di finanziamenti internazionali. Il costo complessivo nei decenni è individuato in 275 miliardi di dollari per le misure di mitigazione e in 40 miliardi di dollari per le misure di adattamento. Nel complesso l’Etiopia sé impegnata ad un investimento diretto di 63 miliardi di dollari e a finalizzare investimenti esterni per 250 miliardi.

L’obiettivo al 2030 è quello della emissione pro-capite di 1,1 tonnellate di CO2, circa 5 volte inferiore all’obiettivo europeo di 6 tonnellate pro-capite.[19]

Inoltre, l’Etiopia ha firmato nel 2020 un accordo con altri 10 paesi del corno d’Africa e dell’East Africa per una gestione comune e coordinata delle migrazioni nella zona che include anche la gestione e lo scambio di accoglienza per le popolazioni affette da sfollamento a causa climatica. [20]

Secondo il climat watchdog “Climat Action Tracker” (CAT)[21] l’Etiopia è uno dei pochi paesi al mondo la cui politica rispetto alla transizione climatica è considerata “quasi sufficiente” ed in particolare compatibile con l’obiettivo del mantenimento del riscaldamento globale entro i limiti di 1,5 gradi centigradi con modesti miglioramenti. Sebbene in piano NDC (Nationally Determined Contribution) sia considerato, sempre da CAT, insufficiente, è considerata adatta la politica di uso del suolo, le policy relative al fair share.

Nel suo NDC aggiornato, l’Etiopia si è impegnata a ridurre le emissioni al 68,8% subordinandolo al sostegno internazionale, mentre una parte di queste riduzioni saranno raggiunte incondizionatamente, utilizzando le proprie risorse. Etiopia intende raggiungere questo obiettivo principalmente attraverso la riduzione delle emissioni del suo settore terrestre.

Si tratta di un obiettivo molto rilevante se solo si tiene conto che l’economia etiope è da anni in rapida espansione con una crescita annua del PIL negli ultimi 10 anni intorno al 9/10%, un reddito pro-capite ancora intorno ai 1.000 dollari e che intende proseguire la crescita della propria economia con un analogo tasso di crescita

Confronto tra il Contributo dell’Africa e dell’Occidente al Cambiamento Climatico

I costi delle politiche di mitigazione e adattamento individuati dalla Etiopia, in relazione alle attuali capacità economiche del paese ammontano al tre volte del PIL annuo, attualmente stimato dalla Banca Mondiale in 111 miliardi di dollari.  È evidente che la possibilità per il paese di finanziare la transizione è fortemente legata all’assistenza internazionale. Il che chiama in causa le responsabilità globali per il cambiamento climatico in atto.

I paesi industrializzati, hanno una evidente responsabilità storica per l’accumulo delle emissioni di gas serra prodotte dall’inizio della industrializzazione. Questi paesi hanno storicamente emesso una quantità considerevole di anidride carbonica (CO2) e altri gas serra attraverso l’uso di combustibili fossili, l’industria pesante e l’agricoltura intensiva. L’Africa, d’altra parte, contribuisce alle emissioni globali totali di gas serra in misura molto meno che proporzionale alla propria popolazione e il contributo dell’Etiopia è stato inoltre risibile.

Lo stile di vita Europeo e nordamericano, è caratterizzato da un consistente consumo energetico per il riscaldamento, il raffreddamento, il trasporto e oltre che per la produzione industriale e per il modello alimentare basato su fonti animali. Al contrario, molte regioni dell’Africa, soprattutto nelle zone rurali, hanno ancora accesso limitato all’energia, dipendono da fonti di energia tradizionali come la biomassa. E seguono una alimentazione ancora basata sulla agricoltura. Ciò ha un impatto limitato sulle emissioni globali di gas serra.

Nonostante il contributo limitato alle emissioni globali, l’Africa è particolarmente vulnerabile agli impatti del cambiamento climatico. Molti paesi africani hanno un’agricoltura basata sulla pioggia e dipendono fortemente dai sistemi naturali per il loro sostentamento. I cambiamenti dei modelli di precipitazione, le siccità prolungate e gli eventi meteorologici estremi possono avere un impatto significativo sulla sicurezza alimentare, la disponibilità di acqua e la stabilità delle comunità locali. L’Occidente, d’altra parte, ha risorse economiche e infrastrutture più solide per affrontare gli impatti del cambiamento climatico, sebbene non sia immune da conseguenze come gli eventi meteorologici estremi e l’aumento del livello del mare.

Questa situazione implica la introduzione del concetto di giustizia climatica a cui molti ricercatori africani si stanno applicando.[22]

Elsabé Boshoff, ad esempio, ha sostenuto che sulla base delle United Nations Guiding Principles on Business and Human Rights and the African Commission on Human and Peoples’ Rights State Reporting Guidelines and Principles le corporations dei combustibili fossili dovrebbero essere ritenute responsabili non solo sulla base dei diritti umani ma anche sulla base di illecito arricchimento per negligenza e che dovrebbero quindi essere chiamate a contribuire a sostenere i costi della transizione. Oluwatoyin Adejonwo dell’università di Lagos in Nigeria and Olubunmi Afinowi dell’università di Vanda in Sud Africa sostengono la necessità di affrontare le conseguenze delle variazioni climatiche con un “human right-based approach”, rendendo così responsabili e questionabili in giudizio. sia ai governi dei paesi colpiti che anche altri governi


[1] https://www.osservatoriodiritti.it/2022/05/05/profughi-ambientali/

https://www.unhcr.org/it/risorse/carta-di-roma/fact-checking/esistono-i-rifugiati-climatici/

[2] https://www.refworld.org/docid/5f75f2734.html

[3] https://www.aics.gov.it/oltremare/articoli/pianeta/rifugiati-climatici-e-ambientali-arriva-il-riconoscimento-giuridico-in-italia/

[4] https://www.internal-displacement.org/about-us

[6] Groundswell Part 2: Acting on Internal Climate Migration, Clement et al. Workd Bank

file:///E:/Fabio/Documenti/Roma3/seminario/Nuova%20cartella/Groundswell%20Part%20II.pdf

[7] https://www.climatewatchdata.org/

[8] IDMC

[9] This figure includes internal displacements due to drought, floods and landslides, with drought being the most significant trigger, specifically in the regions of Afar, Harari, Oromia, Somali and Tigray. Floods in the Gambella region between August and October also have a significant representation in this figure.

[10] https://reliefweb.int/report/ethiopia/ethiopia-gambella-region-flood-update-21-october-2022

[11] https://news.un.org/en/story/2022/04/1116872

[12] https://reliefweb.int/report/ethiopia/ethiopia-drought-update-no-4-june-2022

[13] https://www.agensir.it/mondo/2023/06/06/etiopia-human-rights-watch-continua-la-pulizia-etnica-nella-regione-del-tigray/

[14] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/il-mosaico-etnico-delletiopia-le-tensioni-non-si-sciolgono-23964

[15] https://data.unhcr.org/en/country/eth

[16] https://reporting.unhcr.org/operational/situations/ethiopia-emergency-situation

[17]chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://unfccc.int/sites/default/files/NDC/2022-06/Ethiopia%27s%20updated%20NDC%20JULY%202021%20Submission.pdf

[18] https://unfccc.int/documents/302820

[19] https://altreconomia.it/etiopia-risposta-climate-change/

[20] https://www.iom.int/regional-ministerial-forum-migration-east-and-horn-africa-rmfm

[21] https://climateactiontracker.org/countries/ethiopia/

[22]https://www.pulp.up.ac.za/component/edocman/climate-change-justice-and-human-rights-an-african-perspective

Articolo presentato come prova finale al seminario “Global challenges for the XXI century : the view from the South” del corso magistrale di Relazioni Internazionali (Uniroma3)