Giovani del Mediterraneo per la pace nel mare di mezzo

Siamo oggi tutti focalizzati sui gravissimi eventi cui stiamo assistendo nella Palestina occupata e quasi non ci accorgiamo che quella è solo una delle situazioni di guerra e di conflitto violento che affliggono le popolazioni che si affacciano sul mar Mediterraneo. Assistiamo all’annegare di migliaia di persone nel Mare Nostrum e quasi non ci chiediamo da dove vengono o, genericamente, diciamo che fuggono “dalla guerra” come se la guerra fosse un fenomeno atmosferico.

Quali guerre? Se seguiamo un percorso ideale, da est a ovest, lungo le coste del Mare Bianco – così lo chiamavano gli arabi – troviamo la guerra dello stato turco contro le popolazioni curde, con la distruzione di migliaia di villaggi; la repressione della rivolta e poi la guerra civile in Siria, con dodici milioni di rifugiati e sfollati; subito alle spalle l’Iraq percorso dalla guerra da quasi 50 anni; poi il Libano, oggi in una crisi economica devastante, e dove la guerra tra le componenti del mosaico libanese e con Israele è di pochi decenni fa; l’Egitto non è in guerra, ma la repressione della rivolta popolare che aveva scalzato una dittatura è costata migliaia di morti e una nuova dittatura, come in Tunisia; la Libia da ormai 13 anni è dilaniata da una guerra innescata dall’intervento francese e statunitense; in Algeria i contrasti tra le popolazioni arabe e berbere non si sono mai davvero sopiti, mentre la guerra del Marocco contro la Repubblica Saharawi continua nonostante la promessa di referendum di autodeterminazione.

 Dalla Turchia al Marocco, passando per la Mesopotamia e Cipro la sponda sud del mediterraneo è un arco di crisi quasi ininterrotto da decenni. Più che un “mare in mezzo alle terre”, sembra un mare “in mezzo alle guerre”.

Da tanto tempo la violenza che si esercita sulle popolazioni intorno al Mediterraneo viene letta caso per caso e al di fuori dalla storia comune che queste popolazioni hanno avuto per secoli, rinunciando a cercare nella storia comune le radici dei conflitti e condannandosi quindi a non riconoscerli come parte di un unico processo. Una storia del Mediterraneo che, quando viene studiata come tale, si ferma alle crociate o all’Orlando furioso, quasi del tutto dimenticando quanto molto più recentemente ha collegato tutti i paesi oggi investiti dalle crisi, tra loro e con la sponda europea: la vicenda della colonizzazione e del processo, evidentemente fallito, di decolonizzazione. Aver fatto parte per secoli di un grande impero plurinazionale, come quello ottomano, ed essere stati colonizzati e poi frazionati secondo le linee dell’idea europea di nazione, è infatti ciò che accomuna tra loro i paesi delle sponde sud e che li ha connessi ai paesi della sponda nord nell’ultimo secolo. Il processo di spartizione, colonizzazione e decolonizzazione è tra l’altro tra le cause dell’annegamento di tanti e tante nel bel mezzo del mare Nostrum

È questa comunanza di storia recente che giustifica un discorso e un lavoro sulla guerra nel Mediterraneo. Un discorso che non sia astratto e generale sulla guerra come flagello di cui non si capiscono le origini e si rischia di andarle a cercare nelle profondità oscure dell’animo umano, nella amigdala. Oppure una analisi per caso nella ricerca delle cause specifiche e delle soluzioni mirate rischia di limitarsi ad esaminare la cronaca. Non è per motivi geografici e geometrici che ha un senso situare nel Mediterraneo una riflessione sulla guerra, come quella che la “Coalizione per i diritti nel Mediterraneo” ha intrapreso con ragazzi e ragazze dei paesi costieri.

E i ragazzi e le ragazze? Cosa ne sanno della storia di questo mare e cosa percepiscono di questa storia?

Cosa pensano di queste guerre, sono consapevoli del legame storico che le accomuna? immaginano soluzioni? I ragazzi e le ragazze europee che godono, in una Europa fatta da anziani, di diritti e ricchezza che deriva anche da questa storia coloniale. E i ragazzi e le ragazze delle altre sponde, che sono maggioranza nelle loro società, e che hanno animato le rivolte giovanili del decennio scorso, come percepiscono la condizione in cui sono nati e cresciuti e nella quale dovranno affrontare una vita adulta tanto diversa, ma non poi così tanto, da quella dei loro coetanei?

In tutto il mondo oggi, sempre più società stanno riconoscendo il ruolo che i giovani svolgono come agenti di cambiamento e come attori critici nella prevenzione dei conflitti e nella costruzione della pace. Molti degli 1.2 miliardi di giovani nel mondo, sono anche colpiti dagli orrori del conflitto e della guerra. Le Nazioni Unite, con la risoluzione 2250 “Giovani, Pace e Sicurezza”, adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 9 dicembre 2015, anche di fronte alla crescita del coinvolgimento dei giovani nell’estremismo violento, hanno sottolineato l’importanza del ruolo giovanile e la necessità di promuovere una effettiva partecipazione dei e delle giovani nei processi di riconciliazione, ricostruzione e promozione della pace individuando cinque principali campi di attenzione: la partecipazione ai processi di promozione e mantenimento della pace, la protezione durante i conflitti, la prevenzione dell’insorgenza di tensioni sociali,. la cooperazione tra gli Stati membri nel sostenere il ruolo dei giovani per la pace, oltre a misure per la reintegrazione nella società dei giovani coinvolti nei conflitti. Una particolare attenzione viene data al ruolo che i giovani possono avere nella prevenzione dei conflitti attraverso iniziative volte a favorire il dialogo interculturale e interreligioso, la tolleranza, la coesione sociale e la promozione di una cultura di pace. In questo senso la risoluzione stessa invita gli stati membri a sostenere le attività giovanili di dialogo, prevenzione della violenza e inclusione.

Nei paesi del sud del Mediterraneo, nell’ultimo decennio i giovani e le giovani, direttamente o attraverso una crescente società civile, sono stati e state protagoniste di enormi mobilitazioni e rivolte popolari che sempre, insieme a domande di giustizia e di cambiamento delle élite di governo corrotte, manifestavano la richiesta di pace e di convivenza di fronte alle tensioni etniche, religiose, nazionali, linguistiche che affliggono i vari paesi, dall’Iraq, all’Algeria, dalla Palestina, alla Libia. Le loro richieste non sono state ascoltate, anzi, dove erano riuscite a conseguire risultati politici questi sono stati rovesciati con violenza. Anche in Italia come nel resto di Europa, ragazzi e ragazze sono state presenti numerose nelle manifestazioni per la pace di questi ultimi anni, ma nello stesso tempo la mancanza di strumenti di conoscenza e di lettura dei processi storici ne fanno possibile preda di narrazioni che, per esempio sul fenomeno migratorio, trasformano la povertà in colpa e la ignoranza in paura favorendo la diffusione di visioni sicuritarie e financo violente.

Il progetto “Mediterraneo Mare di pace” che mira a coinvolgere studenti delle scuole superiori e delle università dei paesi mediterranei in un percorso di riflessione sulle guerre in questo spazio geografico e storico prova, con grande modestia e consapevolezza della esiguità dei mezzi, ad affrontare questi temi e attraverso il confronto, l’approfondimento, la conoscenza reciproca a seminare consapevolezza.

Il progetto, appena avviato, attraverserà tutto il 2024 coinvolgendo gruppi di giovani – classi scolastiche, squadre sportive, associazioni – che saranno sollecitati a svolgere una riflessione collettiva che porterà alla stesura di una “Dichiarazione dei giovani e delle giovani per la pace nel Mediterraneo” che sarà devoluta alle Nazioni Unite in occasione della loro 79ª assemblea generale nell’inverno 2024.

Il percorso si è avviato il 10 novembre 2023, in occasione della “Giornata mondiale della scienza per la pace”, con un primo incontro online, a cui hanno partecipato un centinaio di giovani da 11 paesi mediterranei: Libano, Iraq, Tunisia, Albania, Spagna, Malta, Turchia, Iraq, Italia, Egitto, Marocco. Dall’Italia erano presenti classi di scuole superiori o gruppi di ragazzi di Roma, Modena, Sassari, Caltagirone, Canicattì e Napoli.

I ragazzi erano stati sollecitati a preparare un contributo collettivo alla discussione sulle cause o su una specifica causa della guerra e delle guerre che si verificano sulle sponde del Mediterraneo.

I contributi, tutti interessanti ed alcuni anche di grande pregio, hanno nel loro insieme messo a fuoco un vasto insieme di fatti che i ragazzi hanno individuato come cause delle guerre e permesso anche di vedere quali riflessioni affiorano in questi gruppi giovanili.

Certo tra gli interventi di chi la guerra l’ha vista in faccia o l’ha sentita raccontare in prima persona dai genitori che l’hanno vissuta e quella dei ragazzi italiani che la guerra l’hanno vista solo in televisione c’è una differenza emozionale percepibile, ma non così diversi sono invece stati i ragionamenti esposti. I ragazzi delle sponde sud erano principalmente studenti universitari, mentre i ragazzi i italiani in età da scuola superiore.

Le cause della guerra che sono state citate negli interventi hanno toccato un po’ tutti i temi. Di seguito le cause citate raggruppate in gruppi per analogia.

Il settarismo, le tensioni interetniche, i contrasti ideologici e religiosi, il razzismo, la paura della diversità.

La colonizzazione, l’imperialismo e la volontà di influenzare altri paesi, la sete di potere

La competizione per lo sfruttamento delle risorse e il cambiamento climatico

La mancanza di diritti, le disuguaglianze, la povertà, l’emigrazione

La mentalità, la cultura della violenza, il maschilismo, la cultura della vendetta

Le dispute territoriali e geopolitiche

La diffusione delle armi

Molti hanno sottolineato il ruolo dei giovani nei processi di pace, la necessità di creare ponti tra le comunità e le culture, (Napoli) la valorizzazione della diversità (Canicattì) e la possibilità di usare la tecnologia (Sassari).

Nell’insieme i ragazzi intervenuti sono apparsi molto consapevoli dei problemi e delle grandi sfide che una politica di pace deve affrontare, anche se un po’ meno consapevoli delle radici storiche e del legame storico che lega i paesi mediterranei tra loro e con i paesi ex colonizzatori. Non meraviglia. Le relazioni intramediterranee sono state sistematicamente occultate nell’informazione e nella cultura mainstream e la promozione di una maggiore consapevolezza di questo legame come base per processi collaborativi è, non per caso, tra gli obiettivi del progetto.

Le prossime tappe vedranno ulteriori incontri, con l’auspicio anche di un allargamento della partecipazione ad altri paesi, e una discussione probabilmente in gruppi di lavoro per approfondire le tematiche emerse nel primo incontro e individuare proposte da avanzare. L’ambizione è quella di concludere il percorso con un incontro in presenza in una città mediterranea dalla quale lanciare la Dichiarazione.

Pubblicato su Cooperazione Educativa di dicembre 2024

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