L’Ucraina, Gaza e la percezione dell’altro non europeo

“L’acquisizione di ricchezze attraverso la guerra nasce dalla natura, infatti l’arte venatoria è una parte di essa e si deve usare sia verso gli animali, sia verso quegli uomini che, essendo nati per obbedire, rifiutano di sottomettersi e tale guerra è giusta per natura”.

Juan Ginés de Sepúlveda sintetizzava così la giustificazione della guerra come mezzo di evangelizzazione nella “Disputa del Nuovo Mondo”: che lo contrappose al frate domenicano, “procuratore degli Indios”, Bartolomè de Las Casas nel 1550-51. Il teologo spagnolo si rifece alla teoria aristotelica della “servitù naturale” ed aggiungeva: “I filosofi insegnano che alle genti barbare e inumane che aborriscono vita civile conviene stare sottomessi al potere di popoli più umani e virtuosi, i quali, con l’esempio della virtù, delle leggi e della prudenza, loro facciano abbandonare la loro bestialità”. La “Disputa”, convocata dall’imperatore Carlo V, non si concluse con un verdetto chiaro e furono quindi i coloni, prima spagnoli e poi delle altre “nazioni” europee, a scriverlo.

Fu probabilmente allora che gli europei, sino ad allora marginali nella storia del mondo, cominciano a interiorizzare l’idea della propria superiorità e a percepirsi come il centro del mondo, soggetti di una storia universale nella quale “il resto” divenne oggetto. L’Altro non europeo in questa storia è sempre un po’ meno che umano. O quando lo è deve essere educato, alla cristianità, alla civiltà, alla democrazia…

Su questa percezione di sé si sosterrà moralmente lo sterminio della gran parte delle popolazioni americane e la deportazione di 12 milioni di schiavi neri. Poi la spartizione dell’Africa fu stabilita a Berlino nel 1870 per “prendersi cura del miglioramento delle condizioni e del loro [degli indigeni] benessere morale e materiale”, mentre l’altro pezzo d’Europa, la Russia, si “prendeva cura” delle popolazioni della Siberia asiatica.

Nel Mediterraneo la professione di superiorità si affermò più lentamente. Qui l’occidente era stato di fronte ad una civiltà che aveva regalato all’Europa il caffè, l’algebra e la filosofia greca e prodotto imperi che controllavano il commercio globale. Il lungo conflitto europeo con quel mondo per il controllo del commercio con l’oriente non aveva sino a quel momento prodotto l’altro non umano. I “saracini” erano infedeli, ma pienamente umani. La hybris occidentale si estese al Maghreb e al Mashreq con lo smembramento violento dell’impero Ottomano. Napoleone invade l’Egitto, poi la Francia occupa Tunisia e Algeria, poi fu la volta del Regno d’Italia a dichiarare guerra alla Turchia e occupare la Tripolitania e Cirenaica, infine il britannico Mark Sykes, e il francese François Picot si divisero con un tratto di penna sulla carta geografica le ultime spoglie dell’impero, smembrato con la Prima guerra mondiale.

Come scrive Edward Said in Orientalismo, l’Europa inventa l’Altro orientale. Ciò permetterà di definire nel trattato di Versailles le popolazioni del Mashreq come “non in grado di resistere da soli nelle condizioni del mondo moderno” giustificando così la loro colonizzazione.  

Sepulveda non avrebbe saputo fare di meglio.

Dunque, da cinque secoli l’altro non europeo è un po’ meno che umano e comunque inferiore e “naturalmente” subordinato. Una dominazione “per il suo bene” costellata da inenarrabili eccidi “alla Hamas”. (Adis Abeba, Debre Libanos, Amritsar, Hải Phòng, Herero, Abu Ghraib, per citare a caso qualche nome evocativo).

Oggi, che la supremazia occidentale è messa in discussione, ci si dice che dobbiamo fare la guerra per difendere l’Occidente (con il corollario del dollaro come moneta di scambio) e che tutti i conflitti attuali sono “un attacco ai nostri valori”. In Ucraina, come in Palestina. Ma quali valori?

Sulla superiorità morale dell’Occidente ci sarebbe molto da dire. È l’Europa che ha prodotto il nazismo, culmine del mito della Nazione e del Razzismo scientifico (entrambe invenzioni europee) e che, come ha acutamente notato il poeta martinicano Aimé Cesaire, ha fatto in Europa e verso popolazioni “bianche” le cose che tutte le altre nazioni facevano in Africa senza troppo scomporsi.

E non si dica che si tratta di cose del passato quando l’Occidente ha assistito indifferente alla morte per fame di mezzo milione di bambini iracheni per l’embargo e mentre collabora all’affogamento di migliaia di ragazzi e ragazze nel Mediterraneo. La ferocia che nasce dalla arroganza è di oggi e non di ieri.

È questa percezione di superiorità che consente la sconcertante differenza di trattamento che hanno le vittime bianche da quelle non bianche. Che si tratti di bambini israeliani o palestinesi, di sfollati ucraini o africani, di malati di covid europei o cinesi. Ed è questa concezione dell’altro come “un po’ meno che umano” che fa sì che possano essere espressi ad alta voce pensieri genocidari come quelli ascoltati dopo l’eccidio del 7 novembre o la sconcertante accettazione della rappresaglia sulla popolazione civile come guerra giusta.

Questo occultamento della storia europea impedisce anche di vedere l’attuale condizione nel Mediterraneo sia conseguenza della colonizzazione ma, ancora di più, del fallimento della decolonizzazione. È tutta la storia dell’ultimo secolo che chiama in causa le potenze europee. Dal diniego all’ingresso della Turchia nell’EU, alla guerra italo-francese per il petrolio libico, dall’abbandono della Nahda, il rinascimento arabo, al tradimento delle società civili protagoniste delle primavere arabe, dai trattati commerciali su ragioni di scambio diseguali, all’appoggio a monarchie e dittatori, alla mancata costituzione del Kurdistan, dalla l’occupazione israeliana dei territori palestinesi, alla alleanza con la sanguinosa monarchia saudita, tutto sembra studiato al tavolino per impedire un processi di crescita e di democratizzazione . E mantenere il controllo.

Durante l’assedio di Gaza si è molto insistito sull’affermazione d’Israele come “unica democrazia del Medioriente”. Questa affermazione nasconde una concezione della democrazia appannaggio solo del pezzo di umanità dalla pelle bianca e legata ai valori occidentali. Come se i satrapi e le dittature del Medioriente non fossero lì anche e soprattutto per responsabilità delle potenze ex coloniali che, pur di controllare le fonti energetiche (petrolio e gas) hanno favorito regimi totalitari armandoli fino ai denti nella repressione delle forze democratiche e popolari.

Il fatto che le petrocrazie del Golfo siano il principale acquirente di armi italiane ed occidentali dovrebbe indurre ad una maggiore prudenza quando si fanno certe affermazioni. D’altronde lo stesso Israele è progressivamente slittato dall’essere uno Stato sostanzialmente laico a Stato esclusivamente ebraico. Non sfuggirà la differenza.  La divisione della società israeliana è anche figlia di questa torsione.

L’immissione, dalla caduta del muro di Berlino in poi, di centinaia di migliaia di nuovi cittadini provenienti dall’est europeo (il 15% della popolazione attuale d’Israele è russofona) ha alterato profondamente gli equilibri tradizionali, tanto da rendere sempre più residuale e meno influente la minoranza palestinese rimasta in Israele nonostante la Nakba subita nel 1948. Un così alto tasso d’immigrati che immediatamente, acquisiscono la cittadinanza israeliana ha spinto, specialmente dopo l’assassinio da parte di un estremista sionista di destra del premier Yitzhak Rabin, alla colonizzazione di terre che, secondo gli accordi di Oslo, dovevano essere i territori del futuro Stato di Palestina.

L’occupazione ha avuto, sotto questa spinta, un salto di qualità e di aggressività senza precedenti. Muri, reticolati, espropriazioni, arresti arbitrari, esecuzioni sommarie, negazione dei diritti fondamentali come l’accesso all’acqua o a viaggiare, hanno reso invivibile la vita quotidiana dei/lle palestinesi. Per di più spingendo a destra, verso forze apertamente razziste, l’intero quadro politico israeliano.

La democrazia può ovviamente essere un formidabile terreno su cui costruire società includenti e risolvere positivamente situazioni di conflitto. Per questo, un approccio meno miope della comunità internazionale, dovrebbe prendere in considerazione la sperimentazione democratica che donne e uomini stanno costruendo, tra tantissime difficoltà, nel Nord Est della Siria.

Quello che un tempo si chiamava Rojava oggi, con l’elaborazione del “confederalismo democratico”, è uno spazio di convivenza plurietnica e plurireligiosa che indica un’altra strada, fuori e contro l’idea nefasta di “un popolo, uno stato”, da percorrere per la composizione di storici conflitti e di guerre disastrose. Ma una lezione di democrazia che viene dal Sud del mondo non ha, per la cultura dominante in occidente, lo stesso peso e valenza di una democrazia imposta con i processi di colonizzazione. Per questo non si leva la stessa indignazione quando la Turchia, paese della Nato, bombarda e massacra i curdi.

Non potrà esserci vera democrazia, pace e benessere nel Mediterraneo senza che l’Europa faccia i conti con la propria storia coloniale e assuma le proprie responsabilità. Per fare ciò basterebbe si rifacesse alla parte buona della sua storia, quella scritta dalle lotte delle classi popolari nel ‘800 e nel ‘900, che hanno conquistato, contro le classi dominanti, democrazia e diritti per tutti e tutte.

Pubblicato con Alfio Nicotra sul monografico di Left “Repubblica una indivisibile euromediterranea” dicembre 2023