Su Mafia Capitale

Anche se, come sempre, la realtà supera la fantasia, l’inchiesta “Mondo di mezzo” non fa che precisare i contorni, anche se non ancora l’estensione, di qualcosa che in molti immaginavano a Roma.

Molte analisi e descrizioni sono state prodotte sinora e appare pacifico, che a Roma, con  la destra al potere, si sia prodotto un sistema di sottogoverno cittadino, dai confini estesi, imperniato intorno alla riconversione criminale della destra eversiva che ha visto la partecipazione di soggetti politici, economici e criminali di diversa estrazione e una piena internità del PD.

Ma se il bubbone fascio-mafioso ha potuto incistarsi così in profondità nel sistema politico cittadino, forse non è possibile spiegarlo solo con lo sdoganamento dell’estrema destra, con la sua riconversione affaristica e con la necessità di Alemanno di costruire da zero un sistema di potere che lo sorreggesse nel governo della città ricompensando chi ce lo aveva portato.

Occorre andare più in profondità perché se assalto alla diligenza c’è stato è, forse, anche perché la diligenza non era adeguatamente protetta.

La notizia (o forse solo una conferma?) che dalla gestione dei residence dell’assistenza alloggiativa, a quella dei campi nomadi, l’assegnazione di servizi per conto del comune avveniva con metodo clientelare e sotto pressioni di stampo mafioso non è che l’ultima di una lunga serie di inchieste, che hanno toccato innumerevoli campi dell’amministrazione, in cui l’incontro tra il pubblico e il privato si è risolto in un inciucio, quando non in un reato.

Scorrendo velocemente gli ultimi anni di cronaca giudiziaria ricordiamo che l’attenzione dei magistrati è stata di volta in volta attirata dalle concessioni per i Punti Verdi Qualità, per il Piano Urbano Parcheggi, per la ristrutturazione dei mercati, per la bigliettazione dell’ATAC, per  gli appalti e le assunzioni nelle municipalizzate, per la gestione dei rifiuti, …. Con decine o forse centinaia di indagati, che aveva già delineato un modus operandi nel quale la collaborazione con i privati si risolveva spesso nella ricerca di  cointeressenze nelle quali il bene pubblico non appariva.

Alcune di queste inchieste vanno indietro negli anni, come quella sui mondiali di nuoto, con il suo rosario di piscine, opere incomplete ed abusi edilizi.  Molti dei programmi capitolini interessati, PvQ, PUP, campi nomadi,  hanno un’origine anteriore all’ascesa al potere della destra destando il sospetto che Mafia Capitale, e non solo, si siano inseriti in un modus operandi che non è stato inventato da zero e che, se ha assunto solo nel tempo i contorni criminali, fino all’apoteosi alemanniana, ne conteneva già in se i germi.

Aldo Pirrone lo ha definito “Un sistema di potere germinato e cresciuto durante le amministrazioni del “modello Roma”… diventato metastasi incurabile con il centrodestra”

Il fatto è che, ad esempio, dalla teorizzazione negli anni ‘80 dell’”urbanistica contrattata”, con la rinuncia alla  battaglia sul diritto dei suoli e dall’invenzione delle “compensazioni edificatorie” istituite per realizzare il parco di Tor Marancia senza inimicarsi i costruttori, si è passati ad una ”urbanistica partecipata”, in cui a partecipare erano solo i proprietari dei suoli, come ha ben documentato Report a proposito del Piano regolatore di Roma, per la definizione del quale sono state respinte il 95% delle osservazioni dei cittadini.

Il ricco, anche se frastagliato ed disperso, arcipelago di cittadinanza attiva rappresentato dalla miriade di comitati popolari che anima da sempre il panorama politico romano è rimasto fuori dalla porta. Ad esempio non è mai successo che i processi partecipativi sulla scelte urbanistiche abbiano portato all’azzeramento di un progetto, ma solo, quando è accaduto, a sue parziali modifiche.

Con i PvQ e i PUP, ad esempio il comune ha abdicato alla programmazione urbanistica privatizzandola di fatto ed analogamente è successo nel sociale attraverso l’esternalizzazione di innumerevoli funzioni. C’è certamente differenza tra queste due fattispecie, ma in ambedue c’è la rinuncia a governare e la strisciante trasformazione della funzione di governo in quella di orientamento di flussi di risorse. In una concezione secondo cui qualche briciola potevano distribuirla tutti.

“Se nun posso decide a chi da’ i contributi che me so fatto elegge a fa?” Rispondeva così un assessore a chi gli chiedeva perché non era stato fatto un bando pubblico. “Abbiamo appena presentato un progetto” è la spiegazione che mi fu data da una associazione a cui chiedevo il motivo della loro collocazione elettorale.

Ecco: questa concezione della funzione di governo come quella che decide a chi vanno le risorse e non cosa si debba fare, si è affermata in Campidoglio da tempo coinvolgendo maggioranze ed opposizioni. Non si tratta, spesso, di fatti criminali, ma di un crinale  pericoloso le cui conseguenze si dipanano nel tempo andando dalla clientela al crimine.

Da un punto di vista politico la questione rinvia alla rottura del legame, avvenuta nel  corso degli anni ‘90, tra il popolo di Roma e l’allora PdS , quando alla ricerca affannosa di una diversa legittimazione si è cominciato a contendere alla destra il terreno della rappresentanza degli interessi economici. E’ successo così che mentre le periferie, che avevano portato al potere  il PCI con Petroselli, venivano di fatto abbandonate, Caltagirone veniva invitato in consiglio comunale come “La FIAT di Roma”, nella convinzione che “a Roma non si governa senza un compromesso con i poteri forti”.

 Sono così nati i “costruttori di riferimento”, facilmente individuabili con una lettura attenta degli umori del Messsaggero, che da sempre cambia bandiera secondo convenienza. E se il Businnes park di Tor di Valle, impropriamente definito “Stadio”, si farà, vuol dire che questi ancora dettano legge.

Ciò che è fallito, trasformandosi in un maleodorante crogiolo di nefandezze, è un’idea del rapporto con il privato. Si dice che a Roma esistano, e da tempo, tavoli di concertazione in cui politica ed economia codecidono le scelte fondamentali per la città. Che qualcuno si sia voluto sedere a quel tavolo con violenza è grave, ma perché questo non avvenga occorre far saltare il tavolo. E riportare nelle strade, tra i cittadini e nelle periferie il luogo di coprogettazione del futuro.

E’ una sfida, questa, che riguarda anche la sinistra radicale. Da troppo tempo frastagliata in mille rivoli, alla rincorsa del proprio particulare, rischiando di perdere la visione d’insieme e il radicamento sociale ed alle volte tentata dal sedersi a tavola.

 

Pubblicato su: Controlacrisi del 10 dicembre 2014

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *